Letture 2013

Psicologia e alchimia

 
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Verso la fine degli anni venti Jung scopre singolari affinità tra antichi simboli cinesi e i sogni dei suoi pazienti: comincia così a studiare i testi degli alchimisti. Dopo quindici anni di lavoro pubblica questo volume, che rimane fra le sue opere più affascinanti. La tradizione alchimistica e la pratica analitica hanno in comune il tentativo di creare una realtà nuova e superiore: da una parte l’oro, la pietra filosofale, dall’altra la «presa di coscienza» della psicologia moderna. L’alchimia è espressione di una pulsione a trasformare la materia prima dell’esperienza in conoscenza: vuole portare alla luce il lato divino che dorme nell’oscurità degli istinti, ed è quindi una psicologia che non dice il suo nome, qualcosa di affine alla moderna psicoterapia.

Jung allarga la sua indagine alla saggezza orientale e a esperienze culturali che, pur appartenendo a epoche e a luoghi lontanissimi, hanno una radice comune, mostrando come le scoperte scientifiche possano essere in realtà il ritrovamento di antichissime e universali esperienze che, appunto per questo, egli definisce «archetipiche».


Carl Gustav Jung (1875-1961) iniziò la sua attività nel 1900 nel famoso ospedale psichiatrico «Burgholzli». Nel 1907 entrò in contatto con Freud, con cui stabilì uno stretto rapporto umano e scientifico, ma nel 1912 la pubblicazione di Simboli e trasformazioni della libido segnò la rottura del loro sodalizio. Ne seguì un lungo periodo di «malattia creativa», caratterizzato da un serrato corpo a corpo con l’inconscio e le sue immagini archetipiche. Esperienza deasiva, da cui si cristallizzarono, negli anni della maturità, il sistema della psicologia analitica e un’eccezionale messe di indagini storico-religiose, soprattutto nel campo dell’alchimia, dell’astrologia e del pensiero orientale.


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